Il festival teatrale contemporaneo Gioiosa et amorosa 2024 porta sul palco del teatro comunale Mario Del Monaco l’opera originale di Giuliana Musso ispirata a Franz Kafka, un monologo cabarettistico che scuote, rallegra e ipnotizza, un inno alla libertà in tutte le sue forme.
Che cos’è la vera libertà?. “E’ solo un concetto astratto, umano. Quando nasci davvero libero lo sei e basta, non serve pensarci”.
Questo è ciò che una scimmia potrebbe pensare se potesse riflettere sulle umane questioni, quelle elaborate dai più grandi della storia o da coloro che se ne stanno chiusi in quel sicuro “pozzo” di scienza chiamato Accademia. Certamente partirebbe da quì nella sua riflessione, stimolata da un cogito ergo sum maledettamente tipico di quella creatura che si considera la più elevata del pianeta: l’uomo. Un essere capace di così elevati pensieri e di tanto crudeli azioni. “Ma forse, chissà, magari conviene adeguarsi e provare ad essere come lui per sopravvivere”, pensa l’astuta scimmia nella sua gabbia dopo essere stata catturata.
Ecco che il personaggio creato e interpretato da Giuliana Musso diventa quell’ibrido perfetto, una nuova creatura che snatura il suo essere pur di campare, tra varietà e cabaret, indossando vestiti e sopportando quella costante puzza di uomo, essere debole e sciocco che mai sopravviverebbe nella sua giungla tanto amata.
Da quel lontano 1917, i temi di Kafka appaiono così attuali in questo spettacolo ad unico protagonista, con elementi scenici essenziali, così come la musica. E’ su qualche nota di pianoforte, circondata da un’atmosfera polverosa e fumante che l’incredibile Giuliana Musso mette in scena il suo personaggio. In uno spettacolo ricco di monologhi, interazioni con il pubblico (le grandi menti dell’Accademia), arti gestuali e mimiche, lo spettatore diventa fondamentale come elemento portante per la rivisitazione del concetto di “animale” che, in fondo, appartiene a tutti noi. Ma l’abbiamo dimenticato.
«…così divenni naturalmente insicuro
anche della cosa a me più vicina,
il mio stesso corpo».
Franz Kafka, Lettera al padre