In mostra al padiglione C32 del complesso di Forte Marghera in Venezia Mestre dal 1 al 14 luglio 2024, il pittore Fabrizio Vatta tinge di colori mistici i corpi di donne e uomini trasfigurando il concetto comune dell’eros in una mostra personale totalmente rivelatoria.
L’eros e l’erotismo. Complessi di pulsioni ancestrali che coinvolgono psiche e corpo, narrati in tutte le forme possibili fin dalla primordiale consapevolezza del sapiens e ancora tutt’oggi sempre al centro della società moderna. Perché?. Perché l’erotismo è il vero centro del tutto, che lo si voglia ammettere o meno. Un fulcro, un vortice energetico che catalizza tutte le emozioni, le cellule, ogni microcosmo del nostro essere. Come una supernova, sprigiona una radiazione di infinita passione a cui nessuno può resistere.
Eppure, nei secoli, è stato fatto di tutto pur di condannare tale innato e potente istinto, a tal punto da aver sgretolato la purezza stessa dell’eros, sfociando nella meccanicità ipocrita della pornografia. Ma per fortuna esistono gli artisti come Fabrizio Vatta.
Il pittore mestrino, allievo di Emilio Vedova, ancora crede nell’imago, il termine latino che sublima i sogni, le allegorie e lo spirito stesso che, senza il suo involucro, perde ogni forza espressiva. Immagina, rielabora con le sue pennellate figure di semplici, anonimi volti e corpi, liberando il gesto artistico in opere di grandi e piccole dimensioni, talvolta tramutandosi in fotografo-pittore con in mano una polaroid al posto della tavolozza; con un leggero sfocato dell’obiettivo, coglie dettagli intimi in una prospettiva che esalta la fisicità, come in un continuo deja vu spazio temporale, dal delicato sapore di memoria, libido e sensualità.
Ma c’è di più. Il colore. Cambiano i soggetti, cambia l’inquadratura, ma il colore è ciò che rende i quadri di Fabrizio Vatta straordinari. Non c’è volto o particolare che non conservi un tocco di viola o blu, spegnendo così le possibili malelingue di quella socialmente inaccettabile rappresentazione e rendendola mistica, evanescente, spirituale quasi, in cui i soggetti sembrano fermarsi per mostrarsi all’artista senza pudore, in una toccante e quasi timida posa che sa di tenerezza.